14 aprile 2024

MUSICA E TERRORE



Il 21 giugno di ogni anno si celebra la " Festa della Musica",(per l'Italia quest'anno ricorre la 30° edizione) l’evento culturale istituito in Francia nel 1982 dal Ministro della Cultura Jack Lang e rapidamente estesosi in tutta Europa.Il 21 giugno è il giorno del solstizio d’estate,il giorno più lungo dell'anno e la musica si diffonde per le strade,piazze,cortili,chiostri di tantissime città europeee e coinvolge anche luoghi solitamente non adibiti allo spettacolo, in una celebrazione di ogni genere musicale, moderno o classico,che mobilita scuole di musica,conservatori, associazioni, orchestre, corali, bande etc. La Festa della musica si svolge anche in ospedali e carceri, e nei luoghi del disagio sociale dove la musica compie pienamente la sua funzione di integrazione e coesione sociale.

Ma c'è chi la musica la odia:è il terrorismo,di qualsiasi ideologia esso sia;anzi in ogni forma di terrorismo c'è sempre la volontà di sopprimere la musica dalla faccia della terra.Sì,perchè pur nella loro brutalità e crudeltà,pure nella bestialità e nell'assenza del benchè minimo umano sentimento,pure i terroristi,di ogni parte e latitudine,intuiscono che la forza della musica sta nella sua capacità magica di unire, di connettere tra di loro gli esseri umani.La musica emoziona e serve a parlare di quello che succede nel nostro animo.Anzi,se ci guardiamo intorno ci accorgiamo che siamo sempre circondati da suoni e rumori:una goccia di pioggia che cade(splendida la poesia "La pioggia nel pineto" di Gabriele D'Annunzio)


il pianto di un bambino,le onde del mare:tutto questo è musica.E la musica è in grado di rallegrare e confortare.La musica ha poi la straordinaria capacità di far ritrovare a popoli interi la propria identità:si pensi agli inni nazionali o ai canti di singole etnie,come la Haka del popolo Maori resa celebre dagli "All Blacks",la nazionale di rugby neozelandese.



I portatori di odio e terrore sanno bene che la musica è nella sua intima essenza portatrice di pace ed è proprio per questo che la odiano e scelgono di colpire in quei posti dove attraverso la musica si celebra la condivisione di sentimenti tra popoli e razze diverse,ovvero i famigerati(per loro)concerti.

Ancor oggi ricordiamo l’orrore scatenato nel novembre del 2015 dalla strage al Bataclan di Parigi;e resterà nella memoria l’attacco a Manchester in occasione del concerto di Ariana Grande.E non andranno mai più via dalla mente le raccapriccianti mostruosità e animalità del massacro di Hamas del 7 ottobre scorso scatenato intorno a un rave di ragazzi in festa.Ed ancora,poche settimane fa,l'eccido a Mosca di cittadini innocenti,inermi,che erano lì,in quella grande sala da concerto del Crocus,a vivere quelle emozioni che solo la musica sa dare.

Sì,i terroristi lo sanno che la musica unisce e aggrega,accomuna e avvicina le genti.La musica è fondamentale per raccontare bellezza ed è la bellezza che salverà il mondo" diceva Dostoevskij.Ed è questo che il terrore non vuole:al contrario esso desidera mantenere odio e intolleranza,abominio e ostilità tra le genti,e sceglie la musica con agghiacciante e fredda lucidità come luogo ideale per amplificare il terrore,per renderlo insensato e catastrofico,per cancellare il mondo e la civiltà.

La musica è simbolo di pace,condivisione di un unico "sentire".E perciò,nella logica perversa del terrore,è proprio questo simbolo che va spezzato, distrutto, cancellato a colpi di arma da fuoco, va annullato con la morte,per lanciare il messaggio a dire: non potete mai sentirvi tranquilli, non potete rilassarvi, possiamo colpirvi in ogni momento.

È un perverso e turpe accanimento che ha ragioni profonde. I concerti sono l’unico evento di massa in cui non ci sono contrapposizioni.Nemmeno un evento sportivo ha tale forza.Nei concerti nessuno è contro nessuno,si è tutti dalla stessa parte. La squadra che gioca è una sola e tutti tengono per quella. Basta questo a infastidire chi del conflitto si nutre.Nell’estremismo islamico,poi,c’è qualcosa di ancora più profondo e radicato che condanna a priori la presunta peccaminosa licenziosità della musica vissuta fuori l'ambito religioso.Nella concezione islamica la musica,nel suo significato più laico e non confessionale,è di per sè diabolica e come tale va censurata, distrae i giovani dai veri valori,porta corruzione e decadenza.Anzi,fu proprio la musica a subire la maggiore condanna dalla rivoluzione islamica portata in Iran da Khomeini nel 1979. La musica andava conenuta e limitata, e ovviamente del tutto proibita alle donne se solo c’era un sospetto di seduttività, di sensualità.

La musica fa paura perchè porta libertà,spaventa i singoli individui e i regimi;faceva paura,per esempio,ai nazisti,che combattevano il jazz come se fosse la negazione di ogni forma di ordine e disciplina, oltre,ovviamente per la sua appartenenza alla cultura afroamericana,cioè ad una razza "inferiore" non ariana.

E invece è proprio quello che la musica ci insegna.Lo raccontava nella sua geniale maniera Lucio Dalla in quella splendida canzone:"Com’è profondo il mare":

è chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce, e come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare, com’è profondo il mare, certo, chi comanda, non è disposto a fare distinzioni poetiche,il pensiero come l’oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare”.

Questa è la musica e nessuno terrore potrà mai ucciderla.

07 aprile 2024

DENTRO LE BUIE FORESTE D'EUROPA

 







Se ci si ricorda di tutto quello che in questi mesi e in questi anni si è scritto e detto sull'argomento,questo post appare inutile.E inutile è forse lo stesso film e dell'argomento che esso tratta e cioè il fenomeno dell' immigrazione e delle sue ormai bibliche proporzioni.

Sono anni che si scrivono articoli,editoriali,libri e sono anni  che si girano film  (addirittura secoli se si pensa all'antesignano di tutti,"L'emigrante" di Charlie Chaplin del 1917)sull'immigrazione e sono anni che nulla cambia.E se qualcosa cambia,cambia in peggio,e certo non nella direzione auspicata da chi(dalle ONG,alle associazioni di volontariato,alla stampa e alla pubblica opinione più sensibile)di queste cose meritoriamente s'interessa.

Tante giustissime cose sono state dette e scritte negli anni sull'immigrazione.Opere di denuncia civile e politica,voci sempre più preoccupate e allarmate.Ma,appunto,inutili se si pensa all'indifferenza e anzi nel respingimento in cui esse ricadono.Ed è proprio questa indifferenza,questo in-audito(nel senso letterale di non ascoltato)messaggio che fa nascere quel senso di inutilità,quel sentimento di sconfitta.Eppure ogni volta,contemporaneamente a quel sentimento,risorge l'altro e opposto sentimento di indignarsi difronte all'orrore delle stragi di migranti che dalla Manica al Mediterraneo,avvengono con cadenza quotidiana a pochi metri dalle nostre coscienze.E allora pure si deve parlare di questo film e del tema che esso tratta.

Il film è Green Border (ovvero "Il confine verde") della regista polacca Agnieszka Holland,  film che ha vinto il Premio Speciale della Giuria all'ultimo festival di Venezia.Il confine verde è la fascia di foresta primaria(cioè la foresta intatta,il cui ecosistema  sussiste allo stato originario,senza essere mai toccata da attività umane)una delle ultime in Europa,che separa Polonia e Bielorussia.Tra conifere e latifoglie, alci, linci, e pericolose paludi, corre la linea immaginaria(non c’è infatti alcuna demarcazione materiale che distingue i due Paesi)tra la Bielorussia e la Polonia. Ed è qui,in questo lembo di terra transfrontaliero,territorio inospitale e insidioso, che si srotola il racconto del film e che riporta i fatti accaduti nel 2021 che sono uno degli episodi più vergognosi della gestione del fenomeno migratorio in Europa.

Rifugiati siriani, curdi, iracheni, afgani, somali e di altre zone martoriate del mondo cercano da questo confine di raggiungere l’Unione Europea,confidando in rischi minori rispetto alle pericolose rotte del Mediterraneo.Ritrovandosi,invece, letteralmente intrappolati in un crudele gioco al rimpallo, che tra violenze e soprusi li costringe a macerare e ulteriormente soffrire e spesso morire,in una terra di nessuno,dove la ferocia primordiale della natura è niente difronte alla cinica,spietata e metodica ricerca della crudeltà degli esseri umani,in realtà veri aguzzini,e delle loro organizzazioni criminali.

Quella raccontata nel film è la crisi migratoria del 2021 tra Bielorussia e UE.Un anno prima il dittatore bielorusso Lukashenko aveva represso nel sangue le proteste di massa contro il suo regime,con conseguente imposizione di sanzioni della UE.Per ritorsione Lukashenko tuonò minaccioso che avrebbe inondato l’Europa di “droga e migranti”.Così furono aperti collegamenti diretti dal Medio Oriente a Minsk e ci fu un lucroso mercato di "accompagnatori" di uomini attraverso la buia foresta di Białowieża(la foresta verde,appunto)illudendo i rifugiati di poter finalmente raggiungere l’Europa in modo sicuro. Rifugiati come la famiglia siriana protagonista del film,madre, padre,tre bambini piccoli e il nonno,che,all’inizio della pellicola, è ancora incredula di essersi lasciati alle spalle la guerra e i campi profughi e di potersi presto ricongiungere a un parente in Svezia e iniziare una nuova vita.

Ed invece,a fronte della speranza di popoli già afflitti da indicibili angherie e sofferenze,l’inferno loro imposto dal feroce dittatore bielorusso deciso a usare i migranti come pedine geopolitiche e poi il governo xenofobo polacco,determinato a tenerli fuori dal proprio territorio,entrambi calpestando qualsiasi principio di umanità.Migliaia di persone bisognose e fragili vengono ricacciate con cani e manganelli da una parte all’altra del confine. Picchiate, umiliate, lasciate in una zona grigia intermedia con cibo e riparo scarsi e mancanza di cure sanitarie e acqua pulita, senza poter entrare in quella sognata terra europea.

La regista polacca registra ogni cosa con estrema precisione,grazie a un lavoro di documentazione fatto con le associazioni di volontariato sul campo, e alla scelta di far recitare attori che avevano veramente vissuto esperienze migratorie simili a quelle raccontate,in tutta la disumanità del sistema bielorusso,volutamente perverso,nel trattare i rifugiati.In alcune scene del film c'è una crudezza estrema(i corpi lacerati,le piaghe,la morte insostenibile di un bambino annegato nella palude, donne incinte lanciate come sacchi oltre il confine)che però è una precisa scelta della regista nella volonta di rappresentare il raccapriccio alle nostre società "civili", tranquille,distanti e dormienti difronte al problema.

C'è una scena emblematica del film:la famiglia protagonista,ormai senza più energie e speranze,decimata, svuotata, seduta su un marciapiede di fronte a un muro su cui ci sono le stelle sbiadite della bandiera europea e su nel cielo uno stormo di uccelli anch'essi MIGRATORI che vola libero nel cielo, infischiandosene del male che a terra l'uomo fa all'altro uomo.

Ed un'altra scena colpisce:Jan, una guardia di frontiera polacca, si guarda allo specchio di notte,lacerato dalla responsabilità morale dell'orrore di quel che è “costretto” a fare contro quegli immigrati guarda la giovane moglie incinta del loro bambino) che dorme nel letto.Sembra qui di rileggere Primo Levi che scriveva che la violenza avviluppa insieme oppressore e oppresso.

Un'intera parte del film è dedicata agli attivisti dei soccorritori,rappresentando la frustrazione di chi vorrebbero "solo" soccorrere chi ha bisogno di aiuto,venendo invece trattati da criminali, scontrandosi con una selva oscura di divieti, zone rosse, incriminazioni che, come in una favola nera, impediscono di liberare i migranti dal terribile maleficio che li costringe a non uscire dalla foresta.

Nel 2022,per impedire ai migranti di attraversare il confine con la Bielorussia,la Polonia costruì un muro di 186 km,alto 5,5 metri,a conferma del grande "amore" delle destre nazionaliste xenofobe europee(vedi Orban,grande amico della Meloni)per i muri di respingimento di Umanità;tanto poi a Sud ci pensano le acque del Mediterraneo a fare da cimitero per i migranti.E sempre nel 2022 c'è l’epilogo del film. Siamo in un altro confine, quello tra Ucraina e Polonia. Dopo l’invasione russa dell'Ucraina,le autorità e la popolazione polacche offrono una risposta piena di compassione,generosità e accoglienza a milioni di ucraini in fuga.Persone anche loro che,come i siriani,gli afghani,gli iracheni,scappano da una guerra con la disperazione di chi ha visto bombardamenti e distruzione.Ed anche qui le organizzazioni di volontariato e le ONG aiutano e rassicurano i profughi.Perché loro non fanno differenze di origine e colore della pelle, mentre la Polonia, e l’Europa intera, non sentono neanche il bisogno di nascondere dietro parole vuote la propria ipocrisia,e il doppio standard di cui sono, siamo, portatori.

E insomma,alla fine di questo lungo post,ritorna netta la sensazione della sua inutilità.Dopo l’abisso degli stermini e dei genocidi del ‘900 di Hitler e Stalin,sembrava che il riconoscimento dei diritti umani di chi è costretto a fuggire da guerre e persecuzioni fosse finalmente riconosciuto. Con la Convenzione di Ginevra del 1951 i rifugiati diventarono un soggetto da proteggere.E invece oggi l’Europa sperimenta sempre nuove forme di abominio giuridico:navi-prigioni galleggianti,centri di identificazione e rimpatrio(in realtà veri e propri lager)appaltati in Italia e fuori dal territorio UE, lucrosi accordi di pattugliamento, polizia e lavoro sporco con paesi noti per torturare i migranti(vedi Libia).Forse la verità è che queste nostre vecchie,stanche democrazie, tra guerre presenti e future, massacri tollerati e minimizzati,come quelli di Gaza,hanno voglia di liberarsi di tutti i vecchi principi del diritto internazionale e comunitario.Difronte a questo,è vero,si può essere scorati ed altri articoli e film e libri sembreranno sempre inutili.Ma finchè rimane la voglia di indignarsi,continuiamo a scriverne e parlarne.Può essere utile per "loro".E' indispensabile per "noi".

02 aprile 2024

VITE PASSATE











Credo che quella 2023-2024 sia stata una delle migliori stagioni cinematografiche da un pò di tempo a questa parte.Opinione personale,per carità.Non a caso "Oaktree","Io capitano","Perfect Days","Oppenheimer","La zona d'interesse","Gli spiriti dell'isola" e "Anatomia di una caduta",hanno vinto diversi premi internazionali e molti hanno avuto la "nomination" agli Oscar.
Tutti belli,da vari punti di vista,quei film.E a loro aggiungerei anche "Past Lives",primo film della regista sudcoreana Celine Song.Non il più bello in assoluto,ma di certo è film da vedere.

"Past Lives":Il titolo si riferisce a una leggenda coreana più volte citata nel film,c.d. "in-yun":due amanti devono già essersi incontrati almeno 8 volte nelle loro precedenti incarnazioni prima di ricongiungersi definitivamente in quella attuale; in realtà Past Lives racconta le tante vite diverse che compongono una singola esistenza,perché "quando parti,perdi qualcosa per sempre", profetizza la madre di Nora prima di partire per gli USA. Lasci,cioè, un pezzo di te, fatto di abitudini, persone, luoghi, espressioni e modi di essere.

È la storia molto semplice di due persone,ma che diventa particolare nel momento in cui riesce a comunicare un sentimento che non è (solo)amore,ma qualcosa di più complesso,un sentimento indefinito che sta tra il rimpianto, l’amore,il desiderio di voler vivere anche un’altra vita."Past Lives" racconta questo sentimento attraverso i flashback,la recitazione e soprattutto con gli sguardi e i silenzi così pieni di parole.

Na-young e Hang-seo sono fidanzatini alle scuole medie, ma i genitori di Na Young devono trasferirsi da Seoul a New York. Da questa dolorosa separazione trascorrono 12 anni, dopo i quali Na-young, che ora si chiama Nora, e Hang-seo riescono a ritrovarsi tramite Facebook e a comunicare via Skype. Di fronte all'impossibilità di incontrarsi nello stesso luogo, Nora sceglie di interrompere la relazione a distanza e concentrarsi sulla propria carriera di scrittrice a New York. Dopo altri dodici anni, Hang-seo vola a New York per vedere Nora,che lì vive e dove nel frattempo si è sposata con un americano,scrittore anche lui.

E qui il film assume una propria assoluta peculiarità. Perché proprio il marito viene messo al corrente di cosa sta succedendo. La maniera in cui è narrata questa figura maschile è molto bella e delicata.La cosa più facile del mondo sarebbe stata farne un maschio geloso,come probabilmente accadrebbe.Invece la regista Celine Song dà a questo personaggio marginale nella vicenda dei due protagonisti una personalità unica, che lo porta a capire il passato della moglie,mettendolo difronte a scelte difficili ed inusuali.

Come detto Past Lives sembrerebbe un film romantico,ma in realtà è un film sul senso del tempo passato,sul guardarsi dietro e sentire un moto di nostalgia così forte da contaminare tutti gli altri sentimenti. Talmente raffinata è la maniera in cui i due personaggi coreani vengono tracciati e così sensibili sono le loro interazioni, che lungo il film si crea tutta un’altra storia,quella che i due protagonisti non hanno vissuto.Non è possibile non sentirsi coinvolti guardando questo film, anche se non si è coreani o americani,anche se non si è andati a vivere altrove nella propria vita, ed è difficile non immaginare la vita di questa ragazza se non fosse mai andata via da Seoul e fosse invece rimasta con il suo amore quindicenne. Lei è un’artista ora, lui è molto condizionato dalla mentalità coreana,alla quale è profondamente legato:come sarebbero stati se fossero restati insieme?
Questo è uno dei film dell’anno perché si potrebbe dire che è un "facilitatore di riflessione".Ed è un film da seguire assolutamente in lingua originale anche perchè i due personaggi non parlano bene le rispettive lingue (lei ricorda un po’ il coreano, lui parla un po’ inglese) e in più c'è un terzo personaggio che il coreano proprio non lo capisce.In questo modo si riesce a salvaguardare la diversità linguistica che è soprattutto diversità di mentalità,e,per la protagonista è un altro mondo, quello del suo passato.

Il film è sicuramente autobiografico,perchè la regista Celine Song(realmente trasferitasi dalla Corea del Sud negli USA) più che raccontare una storia d’amore vuole  misurare l’incontro tra culture diverse e Nora appare infatti totalmente integrata col nuovo modello sociale.I due amanti non si scambiano un bacio per tutta la durata del film e, se tornano a cercarsi dopo la separazione irrisolta nella loro infanzia,lo fanno per ritrovare qualcosa in più di un perduto amore:tentano di rivivere il passato,chiuso prematuramente dal destino e immaginano una vita che non si è fermata ad aspettarli.

24 marzo 2024

EINAUDI, OGGI COME IERI






150 anni fa,il 24 marzo 1874,nasceva Luigi Einaudi,professore universitario di economia,giornalista(scrisse per "La Stampa","Il Corriere della Sera",l'"Economist")Governatore della Banca d'Italia,autorevolissimo uomo delle istituzioni,fino a diventare  primo Presidente della Repubblica(pur essendo stato monarchico)e soprattutto uno dei più grandi liberali italiani di sempre.
150 anni eppur così "giovane".Giovane perchè ancor oggi così attuale è il pensiero di Luigi Einaudi.
Ad attestare l'attualità di Einaudi,la vitalità del suo pensiero basterebbe chiedersi cosa potrebbe dire e scrivere oggi, in una situazione che pare rimettere in discussione molte delle sue convinzioni e dei suoi insegnamenti.E proprio tornando a sfogliare le pagine dei suoi scritti(famosissime le sue "Prediche inutili" o "Lo scrittoio del Presidente"),scopriremmo quanto Einaudi possa aiutarci a capire i travagli che oggi minacciano le condizioni della libertà, le prospettive del mondo aperto, l’idea stessa della democrazia,le sorti dell’Europa,posta difronte a nuovi drammatici scenari come la guerra in Ucraina e a Gaza.

Difronte alle attuali cose del nostro Paese,alla miseria dell'odierna classe politica italiana,l'Einaudi politico,economista e giornalista,non farebbe sconti a nessuno:non di certo a chi si professa democratico e liberale,essendo in realtà profondamente illiberale;non ai no vax antiscientifici,o agli antipatizzanti del mercato,visto come il male supremo;nè ai neo-statalisti di destra e di sinistra,e figuriamoci ai nazionalpopulisti ed euro-scettici oggi al governo in Italia e in Europa.

Einaudi vedeva la libertà come vero e proprio «fatto morale».A chi criticava il liberismo e il mercato come male assoluto,Einaudi rispondeva che non c'è libertà senza vincoli morali: per lui, la libertà,sia in politica che in economia,non può mai trasformarsi in lotta prevaricatrice e non distrugge l’etica,ma,anzi,è proprio essa che costruisce moralità:libertà di perseguire i propri ideali e il proprio disegno di vita,di non essere oppresso dalle pastoie della burocrazia,dai ricatti del clientelismo,e,al contrario,aver la possibilità di esplicare le proprie capacità,anche con assunzione di rischi,come scelta di vita:una visione morale basata sull'intelligenza dell'individuo,sulla sua operosità,rispettando idee e beni altrui,con l'assoluto rifiuto di ogni odio sociale.

Questa visione etica del mercato si ritrova nella famosa e bellissima metafora della "fiera di campagna" elaborata da Einaudi.La fiera,egli scriveva,non può funzionare senza "il cappello a due punte della coppia dei carabinieri,la divisa della guardia municipale, il palazzo del municipio, il notaio, l’avvocato, il parroco",ossia senza regole,istituzioni e princìpi morali.

Sotto questo aspetto,allora,Einaudi non accetterebbe mai certe forme del moderno capitalismo,che di liberale hanno poco o niente:perchè non è liberale e perciò morale un capitalismo intento solo a difendere posizioni acquisite,privilegi oligopolistici e intrecciare occulte collusioni con la politica.Come del resto attaccherebbe la protezione accordata dai Governi a corporazioni e interessi privati per creare privilegi e illeciti benefici(le vicende dei nostri giorni sulle concessioni dei balneari e dei tassisti ne sono il classico esempio).

Secondo questa visione morale dell'iniziativa privata,Einaudi si opponeva all'intervento dello Stato,ma non per scarsa attenzione ai problemi sociali,anzi.Al contrario,diceva Einaudi,il modello liberale riserva allo stato  un posto importante("Lo stato non deve stare con le mani in mano",egli scriveva)ma non deve intervenire per dirigere direttamente l’economia(fonte di corruzione politica per ottenere che lo Stato si interessi di tutto, per favorire pochi,deresponsabilizzando il cittadino.Lo Stato deve invece intervenire per garantire la competizione e l'iniziativa che sono le condizioni per spingere verso l'alto l’ascensore sociale dei ceti meno abbienti e garantire una società più equa.

A quei tanti giullari che raccontano astruse storie di fallimento della democrazia liberale e del modello di rappresentanza parlamentare,occorrerebbe ricordare il pensiero di Einaudi sulla necessità di porre limiti costituzionali al predominio delle maggioranze numeriche,che hanno sì il dovere di governare ma non imporsi ad ogni costo escludendo la collaborazione con le opposizioni(non basta aver vinto le elezioni come oggi alcuni sostengono).Per il liberale Einaudi,cioè, sono insostituibili la garanzia di una società aperta e plurale e quindi il dibattito e il confronto, nonché le procedure per garantirli:ogni altra scorciatoia violenta e intollerante,il rifiuto delle competenze e della conoscenza possono solo sfociare nel successo dei demagoghi(nelle italiche terre ne sono apparsi già diversi esemplari).

Oggi,in un tempo nel quale il populismo e il nazionalismo rialzano la testa ricomparendo sotto le sembianze di Orban o Trump,di Salvini,Meloni e Le Pen,valgono ancora quelle parole pronunciate da Einaudi alla Costituente, ossia "che il nemico numero uno della civiltà(....)è il mito della sovranità assoluta degli stati".Per Einaudi,cioè,erano stati proprio i sovranismi,nelle loro forme estreme,a portare agli orrori della guerra.E,a proposito di guerra e pace e di certi presunti pacifisti nostrani che si aggirano per le piazze fisiche e mediatiche italiane,non si può non richiamare ancora il pensiero einaudiano:«Quando noi dobbiamo distinguere gli amici dai nemici della pace(....)chiediamo: volete voi conservare la piena sovranità dello Stato nel quale vivete? Se sì, costui è nemico acerrimo della pace. Siete invece decisi a dare il vostro appoggio soltanto a chi prometta di (cedere)una parte della sovranità nazionale ad un nuovo organo detto degli Stati Uniti d’Europa? Se la risposta è affermativa,voi potrete veramente,ma allora soltanto, dirvi fautori della pace. Il resto è menzogna».

Da queste parole appare l'altra grande battaglia einaudiana:la costruzione di una Federazione di Stati europei,gli Stati Uniti d'Europa,fondata non solo e non tanto su ragioni di ordine economico,ma anzitutto di natura politica e culturale.Furono queste motivazioni,nonchè l'appassionata lettura degli scritti di Einaudi ad ispirare il suo allievo Ernesto Rossi e Altiero Spinelli nella redazione  di quello che è una pietra miliare della casa comune europea e cioè il "Manifesto di Ventotene".(Sopra la famosa foto che ritrae insieme i tre grandi pensatori antifascisti).

Giusto 70 anni fa,nel 1954,così Luigi Einaudi scriveva:“La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli stati esistenti sono polvere senza sostanza […]. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’essere uniti o scomparire […]”. Un pensiero, quello di Einaudi, che mai come oggi risulta di amara e preoccupante attualità.

15 marzo 2024

ELOGIO DELLA SEMPLICITA'






A tutta prima "Perfect days",l'ultimo film del regista cinematografico tedesco Wim Wenders,potrebbe apparire una riedizione di un film muto,tanto è il tempo durante il quale il protagonista(un'ottimo Kōji Yakusho,uno dei più importanti attori giapponesi)non parla,lasciando alle sue articolazioni facciali l'interpretazione dei suoi stati d'animo.

Hirayama(il protagonista,interpretato appunto da Kōji Yakusho)abita da solo in una piccola,ordinatissima casa:le sue giornate cominciano senza alcun bisogno della sveglia:ha una specie di orologio biologico,che va molto meglio di qualsiasi apparecchio tecnologico.La sua giornata segue un ordine preciso:mette a posto il materasso srotolato(futon)lava faccia e denti,dà una sistemata a barba e baffi.Passa poi a innaaffiare le piantine con uno spruzzino.Indossa la tuta per andare a lavoro,con la scritta The Tokyo Toilet,che già ci fa capire che il suo lavoro è quello della pulizia dei bagni pubblici.
Appena uscito fuori di casa Hirayama guarda il cielo con un sorriso e poi alla macchinetta per il solito caffè in lattina,e,salito sul furgone,va verso il primo bagno da pulire.

Nel guidare ascolta sempre musica rock,sempre rigorosamente sulle musicassette di una volta,sia essa quella di Patti Smith("Redondo Beach")


o Lou Reed,“Perfect Days”,brano facente parte dell’album “Transformer” prodotto da David Bowie e Mick Ronson cui sembra ispirarsi il titolo del film


oppure ancora “(Sittin’ On) The Dock of the Bay” di Otis Redding



Hirayama svolge il suo lavoro di pulizia delle toilettes con uno zelo e con una cura tale che forse la maggior parte di noi non riserva nemmeno ai bagni di casa propria.All'ora di pranzo,nell'intervallo di lavoro,mangia un sandwich in un parco, ammirando gli alberi,le loro cime ondeggianti e fruscianti al vento e ogni tanto le fotografa con una compatta analogica.
Alla fine del giro di pulizie compie, ancora una volta, sempre gli stessi gesti:torna a casa, si lava in un bagno pubblico, fa tappa nel solito locale e prima di andare a dormire legge un libro(di Faulkner nel momento del film,poi va a letto, sogna,e il giorno dopo è replica.

Perfect Days non è solo l’ultimo film di Wim Wenders:a detta di molta parte della critica è tra i suoi più riusciti.E' anche un omaggio alla cultura e alla società giapponese per quello straordinario senso del lavoro che vengono raccontatati attraverso le giornate, tutte identiche fra loro, di un addetto alle pulizie che, immerso in una Tokyo sovrastata dalla modernità, si ritaglia uno spazio tutto suo, privo di tecnologia, fatto di musicassette, libri tascabili e fotografia analogica.
E proprio la semplicità è la cifra stilistica del film.Quella semplicità che viene analizzata come un approccio alla vita di tutti i giorni, in netto contrasto con la normalità che Hirayama, personaggio principale del film, vede intorno a sé.

Nel film il relazionamento con il mondo "di fuori",il paragone con le vite degli altri è dato dagli incontri che Hirayama fa ogni giorno,ad esempio con quello del suo aiutante più giovane, Takashi, o quello di sua nipote Niko, due ragazzi che nonostante siano totalmente distanti dal modo di vivere di Hirayama, ne rimangono affascinati, al contrario di sua sorella, scettica e distante,che vive una vita agiata(arriva a casa del fratello a riprendersi la figlia Niko con un auto di lusso con autista).Nei pochi minuti di colloquio tra fratello e sorella si capisce la vita "di prima" del fratello, lasciandone intendere le origini ricche di famiglia.

Il filo conduttore del film è la ricerca,da parte di Wenders,del senso della vita e quella tranquilla routine della vita del protagonista sembra essere la proposta di soluzione reso efficacemente dal coinvolgimento affettivo con il protagonista che cresce via via durante del film.E questo coinvolgimento emotivo è possibile grazie alla splendida interpretazione di Koji Yakusho, star del cinema giapponese,vincitore del premio come miglior attore al Festival di Cannes,dove "Perfect Days" è stato presentato.

Non è un casuale il rimando a tutto ciò che è analogico,come le musicassetta,la fotografia in pellicola, e tutta l’assenza di tecnologia rallenta i ritmi di vita del protagonista,guardandosi bene dal prendere in mano uno smartphone.Tutto ciò,alla fine,appare  appare come una critica non certo velata,ma del tutto voluta,alla modernità,e le altre persone, che sono sì al passo con i tempi ma così tremendamente superficiali.

Il finale pone un grande quesito:ma alla fine, Hirayama è felice o no della sua vita ? Questa,forse,però sembra essere una trovata di Wenders:lasciare spazio all’interpretazione degli spettatori, che magari sceglieranno di non seguire l’esempio del protagonista, ma saranno obbligati ad una riflessione.Perchè il film insegna la bellezza delle piccole cose,in una vita senza ogni cosa superflua.


P.S. = il film mi ha fatto venire alla mente una canzone dei "Matia Bazar" di qualche anno dedicata proprio alla felicità derivante dal valore dato alle piccole cose.

13 marzo 2024

LO "SCANDALOSO" BASAGLIA

 







L’11 marzo 2024 è stato il giorno centenario della nascita di Franco Basaglia,lo psichiatra al cui nome è legato il superamento definitivo dei manicomi in Italia con la legge 180/78 che da lui prese il nome.Franco Basaglia è considerato il fondatore del concetto moderno di salute mentale e ancora oggi le sue teorie hanno un forte peso in ambito psichiatrico. Restituì dignità alla malattia mentale, non considerando il paziente come un oggetto da aggiustare,ma come Persona(con la maiuscola)da accogliere,ascoltare,comprendere e aiutare,non da recludere o da nascondere,come qualcosa di cui vergognarsi.Perchè,diceva Basaglia,"a ben guardare,nessuno di noi,visto da vicino risulta poi essere normale".

Basaglia nacque 100 anni fa a Venezia,e quando è morto,presto,troppo presto,nel 1980,quella legge era appena nata e non ancora in funzione e i manicomi c'erano ancora ed erano identici a prima e solo molto lentamente si avviò il percorso che li avrebbe portati all’abolizione.Un percorso lungo,lunghissimo,quello della applicazione della Basaglia, che secondo alcuni ancora oggi viene continuamente tradita dalle istituzioni a causa della incompleta applicazione,della progressiva erosione del Sistema Sanitario Nazionale con la cronica mancanza di fondi che investe la sanità pubblica in generale e i malati psichiatrici in particolare.Eppure quella legge aveva uno scopo alto e nobile:(ri)dare dignità all'essere umano che nelle strutture manicominiali veniva completamente soppressa e offesa.Il manicomio era un enorme "letamaio" con quelle tecniche di costrizione che erano allora piena normalità:camicie di forza e letti di contenzione,terapie a base di elettroshock e insulina,ambienti malsani,sudiciume,denutrizione dei malati trattati come reietti e scarti di vita.
Era allora fondamentale raccontare quell’orrore del manicomio e per questo Basaglia invitò giornalisti, fotografi, artisti e registi negli ospedali che diresse per far accendere le luci sulle mostruosità di quel mondo.Tra le altre resta ancora oggi famoso il reportage mandato in onda dalla Rai,dal titolo "I giardini di Abele" in cui Sergio Zavoli mostrò per la prima volta l'interno del manicomio di Gorizia a migliaia di italiani,intervistando gli internati nel parco dell'ospedale.L'impatto fu enorme.

Si può dire che Franco Basaglia fu una figura scandalosa,nel senso pasoliniano del termine.Lo scandalo fu nel fatto che la denuncia dei manicomi suscitò un senso di colpa negli italiani,perchè quei pregiudizi e quella richiesta securitaria richiesta dai "sani" nei confronti dei "matti",aveva comportato una violenza segregante,tanto da far paragonare i manicomi ai Lager dell’epoca nazista.

"Scandaloso",ma anche di una ampiezza di vedute civile e umana unica,capace di sovvertire le più inveterate regole e convinzioni di quella società italiana divenuta così sclerotizzata.La sua idea non era,come falsamente gli veniva attribuito,quella di negare l'esistenza della follia:egli sosteneva,invece,che quella malattia era in realtà il frutto di una società ingiusta, repressiva, disumana,e che anche la malattia è conseguenza dell’ingiustizia sociale e delle disuguaglianze.Perchè,oggi come ieri,la malattia psichica,ancor più di altre malattie, è un disagio classista, e solo le famiglie più abbienti e culturalmente meglio attrezzate possono avere cure migliori in strutture adeguate, mentre in mancanza di un Servizio sanitario pubblico, le persone più fragili,come i poveri,gli emarginati,i socialmente fragili,i migranti, finiscono spesso in strada, in condizioni di abbandono.

Per Basaglia il malato non è la sua malattia. È un individuo, con il suo carico di sofferenza e anche con il suo male, ma non è solo quello ed era dell'individuo che egli voleva interessarsi.Nel reportage di Zavoli ad una specifica domanda del giornalista,Basaglia rispose che a lui interessava la persona, più che la malattia.E forse per lui il riconoscimento più bello fu quella poesia che Alda Merini,che aveva conosciuto la sofferenza dei manicomi,gli dedicò,quasi come un ringraziamento:

 

Franco Basaglia fu infatti proprio questo per le persone che vissero negli ospedali psichiatrici: l’eterno soccorritore, colui che seppe dare un nuovo nome a ciò che allora era definito “malattia”.Lo sguardo dello psichiatra che sa osservare in modo nuovo i pazienti e sa riconoscere e dare un senso a ciò che fino ad allora era stato considerato assurdo e malato.Con le sue idee e il suo lavoro quotidiano Basaglia ha modificato la storia della psichiatria,riuscendo a cancellare l'equivalenza delle parole malato e reo,degente e recluso.

Eppure la riforma Basaglia fu contestata fin dall’inizio anche nel mondo della psichiatria.Uno dei più critici fu Mario Tobino,psichiatra oltre che scrittore(vinse anche il Premio Campiello nel 1972)che dedicò anch'egli tutta la vita alla cura dei malati,raccontando la sua esperienza professionale in due libri bellissimi,"Le donne libere di Magliano" e "Per le antiche scale"



Tobino paventava quello che poi effettivamente spesso accade ancora oggi, ovvero che il malato psichiatrico grave venisse abbandonato a se stesso e che il dolore e la fatica di gestirlo ricadesse solo sulle famiglie, che non hanno strumenti, risorse economiche e cultura medica per affrontare questa malattia.

Ma non si può dire che quello di Basaglia sia stato solo un sogno.Fino ad allora la psichiatria dava esclusiva attenzione alla malattia, e non alla soggettività, alla interiorità,al vissuto, ai sentimenti del  singolo individuo.Con Basaglia la sofferenza psichica viene vista come l'esperienza umana di un individuo,straziato dall’angoscia e dal dolore, dalla solitudine e dall’isolamento,che non ha tanto bisogno di psicofarmaci, ma soprattutto,di ascolto e di dialogo,di accoglienza e di gentilezza.

In Basaglia non è stata prevalente l'attenzione alla malattia,ma la rivalutazione del senso della sofferenza, che è parte della condizione umana.Ed è proprio perciò che questi sono valori che non valgono solo nella cura della follia,ma che dovremmo saper riconoscere nella nostre vite,non solo in quelle segnate dalla sofferenza psichiatrica.

E' questa,alla fine,l'eredità che lascia Basaglia:un invito alla solidarietà e alla comunione di ideali, che siano di aiuto alla sofferenza di tante persone che non vanno viste con indifferenza, o,come spesso accade,con paura e diffidenza. Sono sorelle e fratelli che soffrono della loro condizione dolorosa di vita, ma anche della solitudine, in cui sono ancora oggi immerse. Se le incontriamo nella vita,dobbiamo esser loro di aiuto.Perchè forse basterebbe offrire a tutto quel popolo sofferente,quei sentimenti che Basaglia ha dato loro e che quella gente non aveva mai conosciuto: libertà e dignità, gentilezza e mitezza, tenerezza e ascolto, dialogo e umanità.Sarebbe utile a "loro",farebbe così tanto bene a noi.